Vincenzo, vincens, il vincente, il vittorioso. Vincenzo Maria Gallucci ancora non lo sa, ma il fato gli ha riservato una vita condita da grandi emozioni, legate a speranze, vittorie, lutti, successi, soddisfazioni. Un’esistenza esaltante, destinata a cascata a segnare i destini di milioni di persone. La sua storia inizia dove per certi versi non tornerà più.
Ferrara è proprio un bel posto dove nascere.
Ci piace immaginare che sia andata proprio così e che a pensarlo sia stato papà Mario, mentre accompagna la sua Irene all’Arcispedale Sant’Anna in corso Giovecca, 203. Lì, a due passi dal palazzo dei Diamanti, alle ore 10.45 di venerdì 1 novembre 1935 nasce il loro primogenito, al quale è imposto il nome di Vincenzo Maria, semplicemente Enzo per coloro che lo hanno amato e ammirato per tutta la sua vita, finita troppo presto, il 10 gennaio 1991, a 55 anni, lungo una carreggiata dell’autostrada Milano-Venezia, tra i caselli di Verona Est e Verona Nord. La registrazione della nascita del figlio, Mario Gallucci la presenta lunedì 4 novembre 1935 alle ore 10 all’Ufficio Primo, sede centrale, dello Stato Civile del Comune di Ferrara. L’atto riporta il numero progressivo 1.150. Appena cinque giorni prima di quel 1 novembre 1935, Benito Mussolini pronuncia il suo discorso che annuncia la campagna di Abissinia. L’Italia è in guerra e lo sarà per i successivi dieci anni, quelli che accompagneranno l’infanzia di Vincenzo Gallucci, vissuta in un ambiente familiare di assoluto prestigio per l’epoca, con il papa medico e la mamma laureata in chimica e farmacia. Una famiglia di alto livello culturale, rara in un’Italia dove l’analfabetismo è largamente diffuso e praticato. Il futuro papà del primo trapianto di cuore italiano, vede la luce in un’area dominata da pianure, nebbie e specchi d’acqua. Una zona fortemente segnata dal senso della comunità e dell’ambiente che si riscontra non solo nel ferrarese, ma anche nel mantovano dove la famiglia Gallucci di fatto abita e dove ha abitato per tutta una vita: prima a Revere di Mantova, poi a San Giovanni del Dosso e infine a Porto Mantovano.
Vincenzo vive la sua infanzia in una zona fortemente segnata dall’acqua. E per certi versi bene si identifica l’immagine del Po con la personalità del nostro Enzo, ragazzo che s’affaccia al mondo. Acqua e terra in simbiosi: da una parte lo scorrere lento del fiume, costante, quasi immutabile che, però, all’improvviso riesce a essere travolgente. Dall’altra un carattere riservato, quasi schivo, che fa della durezza, della cocciutaggine la sua forza, ma anche in grado di diventare impetuoso nel voler raggiungere i propri obiettivi, i propri sogni di vita. Ci piace immaginare ancora che Vincenzo Maria Gallucci abbia preso dentro di sé quello spirito battagliero che vede da sempre, fin dal Seicento, Ferrara impegnata a combattere le leggi di una Natura spesso ostile. Così come le opere di bonifica finiranno con il contribuire alla stabilizzazione del Delta, un ecosistema in continua evoluzione, nella stessa maniera il futuro cardiochirurgo si impegnerà per tutta la vita nel cercare di lottare contro la morte, per regalare speranza. L’infanzia del giovane Gallucci, nonostante i drammi della guerra, scorre tranquilla. Gli studi procedono regolarmente. Il ragazzo promette bene e dopo la scuola elementare a San Giovanni del Dosso, il trasferimento nel collegio “San Luigi dei Barnabiti” di Bologna dove completa le scuole medie e l’inevitabile ginnasio. Una brevissima divagazione merita il Collegio dei Barnabiti dove il futuro professor Enzo ha trascorso cinque anni importantissimi per la sua formazione, ricca di rigore morale. Nello stemma della scuola tre parole: Verità, Bontà e Bellezza. La vetta della verità che è l’aspirazione del sapere e della scienza; la vetta della bontà, che si raggiunge con l’amore fraterno e la solidarietà fattiva; la vetta della bellezza, che impegna nella costruzione di un mondo pacifico e armonico. Verità, bontà e bellezza che il giovane Enzo assorbe nella totalità e che lo ac- compagneranno per tutta la vita. Al liceo ginnasio “Virgilio” di Mantova il futuro padre della cardiochirurgia italiana approda nel 1950. E saranno tre anni di grandi soddisfazioni, fino alla maturità conseguita nell’anno scolastico 1952-1953. All’esame finale si presentano in 47, di cui sei esterni. Nella sessione estiva sono promossi 11 interni e un esterno, nella sessione autunnale ce la fanno in 29, di cui tre esterni. In sei, quattro interni e due esterni, sono respinti. Se ne parlerà l’anno prossimo. La commissione esaminatrice, composta dal presidente Ugo Nicolini e dai docenti Annetta Guardasoni Campani, Vittorino Gazza, Mario Fresco, Carolina Verrazza Gnudi, Ebe Ferrari e Serena Marani, come è in uso all’epoca, non ha certo regalato nulla. Dei 47 studenti presenti all’esame di maturità alla fine ne promuove trentatrè. Naturalmente Vincenzo è promosso nella sessione estiva con voti dignitosamente alti: sette in lettere greche, storia, storia dell’arte, fisica, scienze naturali, chimica e geografia; sei in italiano, latino, filosofia, matematica ed educazione fisica. Nell’ultima pagella Vincenzo Gallucci risulta residente a Porto Mantovano. Spulciando tra i trentatrè promossi di quel 1953, scopriamo che Vincenzo è il più giovane di tutti e nella sua classe ci sono ben undici ragazze, quasi un terzo dell’intero corpo studenti. Un numero davvero alto se consideriamo l’epoca.
Michele Fiasconaro, palermitano, all’epoca nella stessa classe di Vincenzo e successivamente diventato preside del “Virgilio”, ricorda il compagno come «persona schiva, riservata che preferiva lavorare per conto suo». Qualche ricordo in più ce lo regala Federico Cavriani, altro compagno di classe di Vincenzo.
Vincenzo era una persona seria e di poche parole che però frequentavo abbastanza perché la farmacia della madre era sul percorso da casa mia alla Cattedrale di Sant’Andrea, dove ci recavamo a pregare per non essere interrogati e quindi spesso facevamo insieme quel percorso. A questo proposito mi tornano alla mente certe mattinate invernali, spesso con tanta neve e quasi sempre con un nebbione talmente fitto che non si vedeva a più di un metro che affievoliva anche il rumore dei nostri passi. Il particolare che né Vincenzo e né io parlassimo il dialetto mantovano, ci teneva un poco separati dagli altri. Nel periodo invernale vestivamo con i calzoni a sbuffo e calzettoni. Spesso organizzavamo scioperi al grido di “Briga e Tenda italiane!”, ma temo che pochi sapessero dove si trovassero davvero queste località.
Tenda e Briga sono due splendidi paesi situati nel dipartimento delle Alpi Marittime nella regione della Provenza-Alpi-Costa Azzurra. A seguito dell’alleanza franco-piemontese del 1858, dopo gli accordi di Plombières tra Napoleone III e Cavour per la seconda guerra di indipendenza, ne fu prevista la cessione alla Francia, assieme all’ex contea di Nizza e a Briga Marittima. Dopo la guerra, vittoriosa per le armate franco-piemontesi, vi fu tenuto un plebiscito che confermasse gli accordi e che risultò favorevole alla Francia. Tuttavia, le alte gerarchie dell’esercito piemontese, per motivi strategici, fecero pressioni contro la cessione, e Napoleone III finì per rinunciare all’annessione di Tenda e di Briga. Per giustificare pubblicamente la rinuncia si disse che l’area facesse parte dei territori di caccia della corona sabauda, mentre in realtà questi si trovavano molto più a Nord e nelle valli Tinea e Sesubia.
Dopo la seconda guerra mondiale la Francia, vincitrice, chiese l’annessione di Tenda e Briga, ottenendola come disposto nel trattato di pace firmato dall’Italia il 10 febbraio 1947. Un referendum fra la popolazione per la scelta tra Francia e Italia si svolse il 12 ottobre 1947. Il risultato fu un’adesione quasi unanime (93,95%) alla Francia: su 1.538 votanti, 1.445 voti andarono alla scelta francese e 76 a quella italiana, mentre vi furono 78 astensioni. Sono stati sollevati numerosi dubbi sul libero svolgimento del referendum, il cui unico scopo era di dare una parvenza di democrazia all’annessione di Tenda alla Francia, come già un secolo prima era avvenuto con la contea di Nizza, quando Napoleone III volle ratificarne l’annessione all’impero francese con un referendum i cui risultati sono oggi contestati dai movimenti per l’autodeterminazione del popolo nizzardo. Ma, al di là della rievocazione storica, sempre importante quando si tratta di storia italiana, è significativo scoprire come anche il nostro giovane Gallucci non si sia sottratto alle piccole grandi battaglie politiche, ricche d’idealismo tipiche di ogni generazione.