Lunedì 28 ottobre 1985, via Trento a Mestre, ore 18. Davide Borasso, 23 anni, a bordo del suo motorino è investito da una Bmw. Il giovane è trasportato all’ospedale. Le sue condizioni sono disperate, riporta un trauma cranico e coma profondo. La sua vita è appesa a un filo.
Martedì 29 ottobre. I medici mestrini decidono di trasportare Davide a Padova, dove esistono strutture più sofisticate. «Ha bisogno di una terapia intensiva», spiegano ai familiari. Il ragazzo arriva alla Rianimazione Giustinianea alle 18. Nella stessa serata è visitato dal professor Sergio Dalla Volta, illustre cardiologo. Il referto non lascia speranze: elettroencefalogramma piatto ormai da oltre 24 ore. Per i sanitari è clinicamente morto. Dalla Rianimazione Giustinianea, collocata da due mesi in Clinica Ostetrica, scatta l’allarme. È avvisato il professor Gallucci, uno degli otto medici italiani individuati dal Ministero della Sanità ad eseguire trapianti cardiaci. O meglio, lo potrà fare quando il ministro Degan firmerà le relative autorizzazioni.
Mercoledì 30 ottobre. È mattina, il professor Gallucci arriva al Policlinico di Padova di buon’ora. È messo al corrente della situazione. Davide è sano, il suo cuore è forte, sarebbe un donatore perfetto. Nel reparto di Cardiochirurgia è ricoverato Ilario Lazzari, falegname di Vigonovo. L’uomo è gravemente malato: è affetto da cardiomiopatia dilatativa in scompenso cardiaco cronico, ple- torico. Ha le gambe a livello dei malleoli talmente gonfie, che premendo con un dito si produce un’impronta con una profondità di più di un centimetro. La sua sopravvivenza, ormai valutabile in poche settimane, dipende da un sostegno inotropo, è legata cioè alla somministrazione di farmaci. L’unica salvezza è nel trapianto. In caso contrario è condannato a morte. In simili circostanze non c’è un minuto da perdere, la tempestività accresce le probabilità di successo. Il professor Gallucci si attacca al telefono, chiama il ministro della Sanità, Costante Degan. Non parla direttamente con lui, ma con la sua segretaria. Chiede un’autorizzazione, un atto burocratico che avvalli l’operazione. I medici dell’équipe sono già pronti. Sono preparate le due sale operatorie. Si aspetta una risposta. A tarda sera da Roma ancora silenzio. Pare che il ministro chieda tempo. Alle 21 Gallucci lascia l’ospedale. Se trapianto sarà non è certo per la notte.
Giovedì 31 ottobre. Altra corsa contro il tempo. Gallucci ha un impegno nel pomeriggio, a Milano, ma è pronto a disdirlo se arriva dalla capitale il tanto atteso segnale. Gallucci richiama Roma, sollecita l’autorizzazione. Ilario Lazzari è trasferito dalla Rianimazione al reparto. «Dobbiamo sterilizzare una delle due sale operatorie», spiegano i medici. I tempi, tuttavia, si allungano. Insorgono delle difficoltà: dalla Rianimazione Giustinianea comunicano che Davide sembra abbia rivelato agli apparecchi degli stimoli periferici. L’elettroencefalogramma è sempre piatto, ma questa presunta residua attività del sistema nervoso induce a procedere con molta cautela. Per stabilire la morte cerebrale fra l’altro, occorrono almeno dodici ore di accertamenti come prescrive la legge. E la famiglia del ragazzo è perplessa se eventualmente autorizzare l’espianto, arriva perfino a dubitare che si stia facendo davvero tutto per salvare il loro ragazzo. Nel frattempo cessa lo stato di preallarme in cui erano state messe le due équipe chiamate a operare. In tutto dodici chirurghi affiancati da anestesisti, cardiologi, ematologi e tecnici di laboratorio che sarebbero dovuti intervenire in due sale operatorie attigue, in una il donatore, nell’altra il ricevente. Dall’Eur di Roma, dal Ministero della Sanità, la conferma della ragione della mancata concessione dell’autorizzazione.
«L’onorevole Degan – fa sapere una fonte molto vicina al titolare del dicastero – sta sollecitando chi di dovere a fare in fretta perché gli adempimenti, più tecnici che burocratici che bloccano l’autorizzazione siano compiuti velocemente».
Ma quanto ci vorrà? «Alcuni giorni», puntualizza la stessa fonte che assicura che il decreto è già sul tavolo del ministro, anche se incompleto.
In Cardiochirurgia, al piano terra del Policlinico di Padova, si ritorna alla routine quotidiana. «Sì, siamo sempre pronti, – conferma il medico di guardia – ma non se ne farà nulla stanotte».
Quando allora? «Non dipende da noi».
Venerdì 1 novembre. Dopo sette anni d’attesa l’équipe del professor Vincenzo Gallucci, si trova a un passo dal primo trapianto cardiaco nella storia d’Italia. Non ci riesce, quel decreto incom- pleto sulla scrivania del ministro fa ancora paura. La scienza è pronta, anche l’opinione pubblica lo è, non così il mondo politico. «Il mattino di Padova» rilancia la notizia con grande evidenza. L’opinione pubblica, comincia a porsi delle domande, a non capire il perché di così tanto ritardo per un atto, che tutto sommato, è squisitamente burocratico.
Sabato 2 novembre. Esplodono le polemiche. «Siamo stati fermati all’ultimo momento, quando eravamo già sulla soglia della sala operatoria», rivela il professor Alessandro Mazzucco, Aiuto del professor Gallucci. Bloccati da chi? «Da una telefonata del Sovrintendente sanitario Luigi Diana che da Roma era stato avvertito di non andare avanti. Noi però attendavamo un fonogramma, come ci era stato garantito in un colloquio telefonico con il dicastero alla Sanità, l’atto formale che ci avrebbe autorizzato all’operazione. Lo abbiamo aspettato fino al primo pomeriggio, ci avevano assicurato che era partito da Roma, ma a Padova non è mai arrivato. E siamo stati costretti a sospendere tutto». La palla rimbalza a Luigi Diana che il sabato mattina incontra a Mestre il ministro Degan. Perché è stato bloccato tutto? è la domanda più scomoda e ricorrente. «Per gli aspetti giuridici legati alla legge che regola il trapianto di organi – è la risposta di Diana; che aggiunge – i problemi, mi ha detto Degan, sono quasi risolti. È ragionevole supporre una brusca riduzione dei tempi di attesa. Sicuramente entro la fine dell’anno». Determinante a dare un’accelerata, lo scatenarsi di polemiche che cominciano a uscire dagli ambiti cittadini. Publio Fiori, onorevole democristiano, presenta una interrogazione al ministro della Sanità e scrive una lettera a Nilde Jotti, presidente della Camera dei Deputati.
«Non si comprende – accusa Fiori – perché si debbano costringere i malati ad andare in altri Paesi con la spesa media unitaria di circa 30 mila dollari, quando esistono centri cardiochirurgici già attrezzati per questo genere di trapianti. Andrebbero accertate le responsabilità di tali incredibili ritardi e se alla base ci fossero solo scontri di interesse che nulla hanno a che vedere con la salute dei cittadini.»
Domenica 3 novembre. Ilario Lazzari, l’uomo in attesa di un cuore nuovo, attraverso il fratello Mario, riceve in ospedale un foglietto scritto al computer e redatto da un giornalista.«Signor Lazzari, mi scusi se in in un momento come questo mi permetto di disturbarla. Il mio giornale da diversi giorni sta conducendo una battaglia per costringere le autorità competenti ad accelerare i tempi per la concessione della necessaria autorizzazione ad effettuare i trapianti di cuore. E perciò anche il suo. Credo che la sua testimonianza su tutta la vicenda possa servire a sensibilizzare maggiormente l’opinione pubblica. Proprio per questi motivi mi permetto di sottoporle una serie di domande a cui spero lei vorrà rispondere. Grazie. Gianfranco Natoli»
Ed ecco le domande. Mi parli della sua famiglia. Quando ha scoperto la gravità della sua malattia? Da quanto tempo è ricoverato in ospedale? Come viene curato? Come trascorre le giornate? Cosa pensa dei trapianti? Una volta avvenuto il trapianto avrebbe dei problemi di ordine morale pensando di avere il cuore di un altro? Il suo parere sugli avvenimenti degli ultimi giorni. Cosa pensa delle lungaggini burocratiche? Secondo lei perché non arriva l’autorizzazione ministeriale? Un suo parere sul comportamento del ministro Degan. Lanci un appello ai politici.
Lunedì 4 novembre. «Il Mattino di Padova» pubblica in esclusiva l’intervista a Ilario Lazzari, intervista che in realtà non è mai avvenuta, almeno non direttamente. A riportare le risposte, non per iscritto ma solo a parole, è ancora una volta Mario Lazzari, il fratello di Ilario. Su quelle frasi il giornalista costruisce l’articolo che contribuirà a far esplodere definitivamente la polemica che diventa così di dominio assoluto, anche dei media nazionali e in particolare delle televisioni. Riportiamo integralmente il testo di quel servizio che a distanza di trent’anni assume il sapore della premessa per un evento che sarà storico.
«Il mattino di Padova»
lunedì 4 novembre 1985, pagina 4.
Titolo: Ilario ha fiducia: la prima intervista. Il veneziano che aspetta un cuore nuovo.
Ilario Lazzari è tranquillo. Tutte le polemiche scoppiate in questi giorni sembrano non averlo scosso. Mantiene la calma. Avvicinarsi è praticamente impossibile, preferisce evitare il contatto con i giornalisti. Il suo non è un isolamento, è solo una calma attesa. Che si compia il tanto atteso trapianto al Policlinico di Padova. È da settembre di quest’anno che aspetta, che vive nella certezza che soltanto un intervento sostitutivo del cuore gli potrà restituire la gioia di esistere. Il gusto di tornare a vivere. E in attesa del pezzo di carta con tante firme importanti sopra, si tiene aggiornato. Legge i giornali, segue tutti i notiziari televisivi. Vuole sapere. Già nei giorni scorsi avevamo provato a intervistarlo. Ha risposto gentilmente di no. Ha accettato però, per mezzo del fratello Mario che giornalmente lo va a trovare in ospedale, di raccontarci tutto quello che pensa di una vicenda che involontariamente lo ha visto protagonista. Mi voglio operare e lo voglio fare al più presto. Aspetto da tanti mesi per questo e non ho intenzione di mollare proprio adesso. Nel mio futuro c’ è una nuova vita. Ho molta fiducia. La sua malattia, una miocardiopatia dilatativa, si è ma- nifestata la prima volta nel gennaio del 1983. Da allora è stato un entrare e uscire dagli ospedali. L’ultima speranza è il professor Gallucci, dalle sue mani si aspetta il miracolo. Ho enorme fiducia in Gallucci. Se mi dicessero, guarda che a Padova non ti possono operare, devi andare in un’altra città, ebbene rifiuterei l’operazione. Il mio cuore me lo devono mettere qui. E se devo morire lo voglio fare qui, a casa mia. Da tre mesi vive recluso in una stanza di ospedale. Sconforto e speranza si accavallano di continuo. Il momento più brutto è stato giovedì. Avevo capito che era arrivato il momento. Ero tranquillo, anzi contento. Poi alle 15.30 ho visto arrivare l’ infermiere con il vassoio. Ho capito che era saltato tutto. Che c’era stato un rinvio. Mi è sembrato che il mondo mi crollasse addosso. Ma è stato soltanto un attimo: ho ripreso ad avere fiducia. Ad attaccarmi alla vita.
Sul tira e molla ministeriale dice poche parole. Tutte significative: Il discorso burocratico è buono solo per chi non ha soldi. Gli altri se ne vanno all’estero. La vita può essere pagata. E chi non può farlo muore. Se fossi stato il figlio di Degan l’autorizzazione sarebbe arrivata in tempo. Ci potete contare. Mario Lazzari, il fratello portavoce, ci tiene a precisare: Ilario mi ha detto di ringraziare tutta la stampa. L’ intervento dei giornali è servito a sensibilizzare l’opinione pubblica, a far smuovere i politici.
Poi il discorso scivola sul carattere di Ilario, un uomo dalla salute di ferro che a 36 anni ha scoperto, quasi per caso, di essere condannato a morte. Mio fratello ha un carattere calmo, riflessivo, È sempre stato molto attivo. Anche le difficoltà della vita non lo hanno mai abbattuto. La nostra famiglia non è stata molto fortunata, ha dovuto affrontare delle prove difficili, ma ha sempre saputo guardare avanti. Senza mai dimenticare la via dell’onestà. Un clan compatto, che si è stretto attorno ad Ilario, proteggendolo, creandogli una cortina impenetrabile contro le intromissioni esterne, la curiosità della gente. I fratelli Mario, Ermida e Gina, la mamma Giulia, non mollano. Per loro la battaglia continuerà anche dopo il tanto atteso sì ministeriale. E non vedono l’ora di combattere.
L’intervista a Ilario Lazzari rimbalza a Roma e quel «Se fossi stato il figlio di Degan l’autorizzazione sarebbe arrivata in tempo» diventa molto di più di una accusa, seppure pesante. Si trasforma in un caso politico, che tira in ballo direttamente il ministro di origini veneziane. E il particolare non è da poco. Non dimentichiamo che in attesa ci sono anche altri ospedali, tra cui alcuni romani. Ma, il vero obiettivo del giornalista e del giornale padovano che hanno contattato e poi pubblicato l’intervista a Ilario Lazzari è raggiunto. La polemica è totale ed è una sorta di tutti con- tro tutti. Di quanto l’affondo è stato diretto al cuore delle stanze ministeriali e politiche della capitale, si percepisce quando nella redazione del quotidiano, all’epoca in via Pellizzo, arriva un fax inviato dalla segreteria di Degan. Il carteggio, che non è stato reso pubblico, resta confinato nel privato, tra il giornalista autore dell’intervista e lo stesso ministro. Dal tono aggressivo del co- municato stampa si percepisce quanto la sciabolata, dal punto di vista mediatico, abbia fatto effetto e abbia messo pressione a tutto il ministero della Salute.
Ad un lettore bene attento, delle notizie come riportate, non può sfuggire che Degan non ha bloccato alcun trapianto dal momento che non c’ è la disponibilità del donatore. La polemica di G. N. si basa, per di più, su una ignoranza tanto crassa da potersi ritenere incolpevole, ma non perciò meno presuntuosa e arrogante. Merita solo ricordare che Degan: 1) ha dato, affrontando anche momenti polemici, un impulso decisivo nell’emanare i relativi decreti, ha il diritto ed il dovere (dopo aver sentito gli organi ministeriali) d’avviare il trapianto di cuore in Italia. 2) ha inserito tale decisione in un programma di evoluzione della cardiochirurgia in Italia affidandosi, perciò, all’apposita commissione presieduta dal professor Donato ed innovando (con la previsione di poli integrati) rispetto alla episodicità che, alternativamente, ne sarebbe derivata. 3) essendo soggetto (come tutti) alle leggi svolgere un riesame complessivo delle procedure tecniche e amministrative per una decisione che interverrà in tempi brevi.
La risposta del giornalista, autore dell’intervista a Lazzari, resta anch’essa confinata nel privato rapporto con Degan. Questo il testo del controfax:
Il ministro Degan è disinformato. Il professor Luigi Diana, direttore sanitario dell’ospedale di Padova, aveva ricevuto l’autorizzazione al trapianto dai familiari del ragazzo mestrino. Il problema della burocrazia: sette anni fa il professor Gallucci chiede al ministero della Sanità l’autorizzazione ad eseguire trapianti di cuore. Le otto èquipe sono scelte a settembre, e si tratta delle stesse che si erano dichiarate già pronte. Un mese fa una commissione, inviata dal ministro Degan, arriva a Padova, chiede di visitare i locali, di vedere le attrezzature. Una delegazione altamente qualificata ma forse un po’ a digiuno di cardiochirurgia, visto che non è a conoscenza che ogni anno nel reparto del professor Gallucci sono eseguiti 800 interventi al cuore, e moltissimi a livello mondiale, Poi l’opportunità di martedì, ma la risposta da Roma è perentoria: non siamo ancora pronti, ci vogliono alcuni giorni. Signor ministro, nessuno nega che la burocrazia abbia i suoi ritmi ma sarebbe il caso di ricordare alla burocrazia che in attesa del “riesame complessivo della procedura tecnica e amministrativa” la gente muore. Nessuno vuole colpevolizzare il ministro Degan, che anzi ha dato impulso al settore, ma ci sentiamo in diritto di chiedere velocità. Almeno alla burocrazia. Sull’argomento sarebbe significativo conoscere l’opinione di tutti gli Ilario Lazzari italiani, vivi ma condannati a morte, in attesa di un trapianto.