Venerdì 8 novembre. A Treviso, in via Bezzecca, a casa di Giovanni Busnello stanno aspettando il ritorno del loro Francesco, 18 anni, il primogenito dei loro tre figli. Ma Francesco non tornerà mai più a casa. A bordo del suo motorino Ciao non si ferma a un incrocio segnalato male ed è travolto da un’auto. Lo portano all’ospedale “Ca’ Foncello” di Treviso dove lo operano al cervello per rimuovere il grande ematoma che ha riportato nella caduta. La famiglia di Francesco Busnello ancora non lo sa, ma drammaticamente sta entrando anch’essa nella storia del primo trapianto di cuore.
Lunedì 4 novembre-sabato 9 novembre. Una settimana che diventa così un calvario mediatico. Da tutte le parti è un susseguirsi di accuse, contraccuse, distinguo, precisazioni, chiamate fuori. Ma nella bagarre resta sempre Degan. Non c’è telegiornale, servizio televisivo che non si occupa della questione. E il quadro che ne esce è sempre più desolante. Inefficienza, incompetenza, cialtronaggine sono i termini più usati.
Sabato 9 novembre, ore 20. A un tavolino un po’ in disparte del Do forni, ristorante tipico nel cuore di Venezia, siedono due cardiochirurghi e due politici. Da una parte Vincenzo Gallucci con Giuseppe Faggian, dall’altra Costante Degan e Antonio Bogoni, quest’ultimo assessore alla Sanità della Regione Veneto. Al centro della discussione, il tema trapianti di cuore. E relativa autorizza- zione a procedere. La chiacchierata è lunga, Gallucci spiega motivazioni scientifiche e morali. Alla fine una stretta di mano. Degan si congeda con un «professore, mi ha convinto». A Venezia, quando manca poco perché la sera del sabato si affacci alla domenica, arriva dunque la storica svolta. L’Italia della cardiochirurgia che vuole finalmente recuperare il tempo perduto, è pronta a mettersi al pari dei più importanti Paesi del mondo.
Lunedì 11 novembre. A dare il via al progetto ci deve pensare il Consiglio superiore di Sanità che, è previsto, si deve riunire martedì 12 novembre, ma Degan non ne può più di stare sulla graticola delle polemiche. Prende tutti in contropiede e firma il decreto il giorno prima, lunedì 11. Ma, colpo di scena, le autorizzazioni riguardano solo Veneto e Lombardia. Il Lazio, Roma nello specifico, resta fuori. L’opinione pubblica, attraverso la stampa, fa decine di domande. Perché Degan ha firmato i decreti, anticipando di un giorno la decisione del Consiglio superiore di Sanità? Vuole finalmente dimostrare che sa prendere decisioni politiche senza essere prigioniero dei tecnici? E se lo ha fatto è dunque vero che può agire autonomamente e di conseguenza è una meschina scusa quella che doveva aspettare l’ok dei tecnici? E ancora: mettendo insieme Lombardia e Veneto vuole cercare di evitare le accuse di parzialità, lui che è di Venezia? Forse Degan è stato avvisato dagli esperti che il problema del sì agli otto poli avrebbe potuto conoscere ulteriori ritardi perché gli accertamenti da svolgere erano finiti, ma le relazioni erano solo all’inizio? E poi c’è quell’intervista a Ilario Lazzari che da quando è stata pubblicata è stata ripresa da tutti i media nazionali, diventando così una sorta di cartello, di atto d’accusa all’inefficienza politica e ai ritardi della burocrazia. Come dire, da una parte c’è il Paese reale con i suoi bisogni, dall’altra voi che vivete lontani anni luce dalle necessità dei cittadini. Questo un politico, per principio, non può accettarlo. Costante Degan ormai è accerchiato. Anche dopo la tanto attesa firma i media non mollano la presa. Il ministro, al mattino di lunedì 11 novembre, è intercettato all’ateneo di Venezia, dove seduto in prima fila assiste insieme all’altro ministro Visentini e al patriarca Marco Cè, alla consegna del premio Torta, il riconoscimento italiano più importante per il restauro. Premiato di eccezione il chirurgo della finanza Carlo De Benedetti, all’epoca presidente della società Olivetti. Il tono del cronista è incalzante. «Signor ministro, come mai il trapianto in sole due regioni italiane, Veneto e Lombardia?» «Semplice perché hanno fatto per prime la richiesta alla commissione di sanità.» «Il Piemonte non può protestare…» «Può fare richiesta alla commissione.» «È un problema anche di strutture?» «Certo, se sono in grado di fare i trapianti significa che hanno le strutture.»
«Allora il trapianto al cuore si poteva fare anche senza autorizzazioni?» «Avete la mania di drammatizzare tutto, di farne un dramma ad ogni costo.» «Non era necessaria una legge?»
L’ultima domanda resta nel vuoto. Il ministro non sente, la cerimonia è finita, bacia l’anello del patriarca, saluta le autorità e riparte verso Roma. Non prima, però, di aver spedito una lettera al Mattino di Padova, stavolta ufficiale, dove di fatto risponde alle accuse neppure tanto velate lanciate da Ilario Lazzari. Riproponiamo una sintesi del documento perché testimonia perfettamente il clima che si respirava attorno al problema dei trapianti di cuore in quel novembre del 1985, giusto giusto trent’anni fa.
Scrive Costante Degan, ministro alla Salute dal 4 agosto 1983 al 1 agosto 1986:
La vicenda umana del signor Lazzari è al di sopra di ogni singola polemica e merita la massima comprensione e umana solidarietà. Non tutto purtroppo si era fatto quando si manifestò l’emergenza per il signor Lazzari. Quello che manca sarà fatto al più presto, sempre nello spirito di servizio che ha animato la mia azione sin qui. Il mio dovere di Ministro è di fare quanto la legge consente di fare nel più breve tempo possibile, perché l’urgenza di chi aspetta impone la massima urgenza. Purtroppo (ma ovviamente) non potrò risolvere tutti i problemi della salute dei cittadini (il che del resto non è più compito del Ministro ma degli operatori sanitari), e mi auguro che, non solo alla mia famiglia, ma a tutti gli italiani sia risparmiato il dramma che al signor Lazzari è stato imposto di vivere.
Costante Degan, Ministro della Sanità.
Quel lunedì 11 novembre 1985 è tappa storica per i trapianti di cuore in Italia. Un dispaccio Ansa arriva alle telescriventi dei media. Il giornalista del «Mattino di Padova» che ha seguito tutta la vicenda si precipita in ospedale, da Gallucci e gli dà la notizia. Lo stupore è evidente. Ma è proprio sicuro? Qui non è arrivato nulla, a noi non è stato detto niente. È proprio una sorpresa. Non capisco il motivo dei due decreti di autorizzazione al prelievo e al trapianto di cuore, perché hanno voluto mandare avanti il Veneto e la Lombardia, lasciando indietro di ventiquattro ore gli ospedali romani. Forse dietro ci sono problemi burocratici. In ogni caso per noi cambia poco. Eravamo pronti già da anni. Ora non resta altro che fare le cose con calma, aspettando il momento giusto. Le poche parole sono scambiate davanti alla sala operatoria, dove c’è fermento. La notizia si propaga in pochi minuti. Anche i collaboratori di Gallucci si avvicinano, danno un’occhiata al dispaccio di agenzia. Grandi sorrisi, volti tranquilli. Ora, sembrano dire, si può finalmente cominciare. Inutile nasconderlo, anche se celata dalla professionalità, in tutti c’è soddisfazione ma anche un pizzico di sfiducia nei confronti dei politici. «Aspetto di leggere il decreto sulla «Gazzetta Ufficiale». È meglio andar cauti. Solo allora saremo veramente sicuri», afferma tranquillo Gallucci. Più emozionante e carico di risvolti umani, l’incontro con Ilario Lazzari, l’uomo in attesa di un cuore nuovo. Appena dieci giorni fa aveva già un piede in sala operatoria. L’intervento è saltato per il rifiuto di Degan a firmare il decreto ministeriale. «Era ora! In tutto questo tempo – confessa Ilario – non ho mai perso la speranza. Sono pronto ad andare sotto i ferri anche adesso. Il morale è buono, non posso dire lo stesso del motore», e indica una serie di fili che lo collegano ad una macchina che da un mese gli controlla il battito cardiaco e gli immette la necessaria dose di farmaci. Da tre anni soffre di una miocardiopatia dilatativa, una disfunzione che non perdona. Solo il trapianto può salvarlo. Per fortuna il quadro clinico è inalterato, le sue condizioni fisiche sono le stesse di quindici giorni fa. Anche questo è un miracolo: è riuscito a sopravvivere alla burocrazia. In pochi in Italia vantano un primato simile. Il suo cuore nuovo dovrebbe arrivare probabilmente dall’area Veneto-Friuli-Emilia Romagna. La fascia è stata decisa dopo una riunione, avvenuta nei mesi scorsi al Centro Trasfusionale e di Immunologia dei trapianti di Milano diretto dal professor Girolamo Sirchia che qualche anno dopo diventerà lui stesso ministro alla Sanità e al quale si deve la grande iniziativa del divieto di fumo nei locali pubblici.
«Non dimentichiamo – ricorda Gallucci prima di rituffarsi nella sua sala operatoria – che esistono problemi di compatibilità tra soggetti. Qui nessuno vuole arrivare primo. Puntiamo a salvare i pazienti.»
Martedì 12 novembre. È iniziato il conto alla rovescia. La Padova che legge i giornali, guarda la televisione e che ogni giorno va a lavorare, vive con curiosità il momento, percependo quasi consapevolmente il senso storico della portata dell’evento. Nei bar, nelle piazze, non si parla d’altro. La domanda ricorrente è: quando? Già, quando professor Diana? Il Sovrintendente dell’o- spedale patavino stavolta è meno riservato di una decina di giorni fa, quando ha concesso poco, stretto nel suo ruolo, alle rivelazioni. Stavolta l’autorizzazione c’è, nessuno può più nascondersi. La soddisfazione che si respira nel reparto di Cardiochirurgia e negli stessi uffici della Soprintendenza è palpabile, più della stessa attesa per l’avvenimento. Diana ammette, ma precisa:
Mi preme innanzitutto sottolineare che qui non vogliamo far gara con nessuno. Non è una maratona per arrivare a tagliare il traguardo prima degli altri. A noi interessano le vite dei pazienti e se siamo riusciti ad ottenere il sì più importante ora abbiamo il dovere di procedere con il massimo scrupolo. Quando ci sarà l’ intervento? Diciamo che si potrebbe procedere sabato o domenica, lo richiede lo stato attuale delle cose. Abbiamo già il ricevente, ma non disponiamo ancora del donatore. E per donatore intendo che abbia le stesse caratteristiche di compatibilità di Lazzari o di chi altro si troverà nelle sue stesse condizioni.
Gallucci non è fisicamente a Padova, si trova a Roma insieme al professor Peracchia, altro chirurgo, alla riunione della Consiglio Superiore della Sanità. Tutto è però pronto. È solo questione di ore, perché il fato, il destino individui in un gioco crudele di morte e di vita, chi sarà il donatore. Del ricevente ormai si sa tutto. Ilario aspetta.
Mercoledì 13 novembre. È la vigilia dell’evento che di un solo colpo farà recuperare all’Italia diciotto anni di ritardo rispetto al resto del mondo. La nostra storia si concentra nel triangolo Padova-Treviso-Milano. A Padova dove è ricoverato Ilario Lazzari e dove è pronto a operare il gruppo di Vincenzo Gallucci. A Treviso dove c’è Francesco Busnello, il ragazzo di appena 18 anni in morte cerebrale destinato a diventare l’involontario primo donatore. A Milano dove opera il Nitp, il Nord Italia Transplant che coordina tutta l’attività dei trapianti, dove arriva un campione di sangue di Francesco e dove si sta lavorando pe portare a termine la tipizzazione, per accertare cioè la compatibilità dell’organo con le caratteristiche fisiologiche dei possibili riceventi. Sorge qualche dubbio, qualche perplessità: il corpo di Francesco è mingherlino, il suo cuore di dimensioni ridotte, potrà andare bene per un uomo grande e grosso come Lazzari? Le attese aumentano.
Non è una giornata semplice quella che si sta vivendo a Padova, Treviso e Milano dove tutti i protagonisti sentono, in maniera diversa, il peso di quell’accavallarsi di eventi.
Treviso. Alle ore 11 Francesco Busnello presenta uno stato di coma profondo, accompagnato da atonia muscolare, ariflessia tendinea dei muscoli scheletrici innervati dai nervi cranici, indifferenza dei riflessi plantari. Inoltre i sanitari non riscontrano nessun cenno di respirazione spontanea dopo la sospensione, per due minuti, di quella artificiale. Assente anche l’attività elettrica cerebrale, spontanea e provocata, e il riflesso corneale e pupillare alla luce. La famiglia di Francesco ha vissuto un calvario di tre giorni, ritmato dalla visita quotidiana al loro ragazzo, addormentato sotto i mille fili delle macchine della rianimazione. Francesco immobile, insensibile alle parole della madre, alle sue carezze, alle sue piccole e disperate attenzioni. La parola donazione entra nella famiglia Busnello. A parlarne per primo è Giovanni, il papà: Ci ho pensato quando ho letto sul giornale che adesso si può fare. Questa è una delle cose possibili è il pensiero che mi è venuto d’ istinto, ma che poi ho ricacciato nella mente. Ne ho parlato addirittura io ai medici. Il discorso è scivolato su un piano generale, come un qualsiasi fatto di cronaca. Ma Francesco era lì, troppo vicino a noi perché potessi dimenticare il suo stato. Ho detto che sì, sarei stato favorevole alla donazione di qualsiasi organo. Non ho pensato al cuore, ma che differenza può mai esserci?