La grande esposizione mediatica del primo trapianto di cuore porta Padova al centro dell’interesse non solo dell’opinione pubblica, ma soprattutto della comunità scientifica. Il lavoro di Gallucci e del suo gruppo è di altissimo livello. La sua è una cardiochirurgia raffinata, innovativa, capace di superare spesso, per ricerca e risultati, quello che viene realizzato nei centri ritenuti all’avanguardia, soprattutto americani. La fama e la considerazione del cardiochirurgo mantovano tra i suoi colleghi così è enorme. È da tempo un punto di riferimento a livello europeo e mondiale. Tutti vogliono venire nel cuore del Veneto a operarsi, per grandi e piccoli interventi, per operazioni semplici e quelle più complesse. Tutti vogliono Gallucci, tutti ormai conoscono l’uomo dei sogni. La lista d’attesa di Cardiochirurgia si allunga a dismisura e da tutta Italia arrivavano richieste di inserimento, soprattutto per pazienti candidati al trapianto di cuore. Siamo nella primavera del 1986 e un cardiologo di Taranto invia a Padova un paziente complesso con precedenti infarti del miocardio multipli e con un cuore non più rivascolarizzabile. L’uomo, 45 anni, lamenta anche una severa e irreversibile insufficienza della funzione renale. Una condizione, quest’ultima, ritenuta una controindicazione assoluta al trapianto cardiaco. L’uomo è però determinato a non volersi arrendere a un destino altrimenti inevitabile e si aggrappa alla speranza di una nuova avventura: un trapianto contemporaneo, combinato, di rene e cuore. Fino a quel momento in tutto il mondo non era stato mai tentato nulla di simile. Non esiste pertanto neppure nessuna casistica su cui fare riferimento: è una sorta di salto nel buio e i rischi sono enormi. Non ci sono però alternative, operare, tentare quello mai provato, oppure perdere il paziente. Gallucci accetta la sfida e mormora un «andiamo avanti» accompagnato dal suo consueto e rassicurante mezzo sorriso.
Dopo qualche settimana si trova anche il donatore, una donna di Milano. È l’inizio di una nuova sfida portata avanti insieme ai chirurghi di Treviso guidati dal professor Tommaso Tommaseo Ponzetta, la cui équipe è autorizzata ai trapianti di rene. Anche in questa occasione Vincenzo Gallucci deve scontrarsi con la burocrazia. Al termine dell’incredibile intervento la Sovrintendenza sanitaria dell’Ospedale di Padova si sente in dovere di informare la Procura: Gallucci non ha l’autorizzazione al trapianto di rene, seppure di fatto all’operazione prende parte il gruppo di Ponzetta che ne è però abilitato. La vicenda si conclude nell’ufficio di Marcello Torregrossa, Procuratore capo della Procura di Padova. Gallucci riceve i complimenti di Torregrossa e l’invito «a non farlo più». Quanto realizzato a Padova è ancora oggi citato dalla letteratura nella chirurgia dei trapianti multipli.